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Lun/Ven: 8.30-20.30 Sab 8.30-13.00

Intorno alla stanza dello psicologo aleggiano varie credenze e miti. Molti di questi assolutamente disfunzionali ed errati. Alcune persone possono essere bloccate proprio da queste credenze errate e sono restie a chiedere un consulto. Per questo motivo, abbiamo deciso di scrivere qualcosa a questo proposito.

Cosa accadrà mai nella stanza dello psicologo che fa cosi paura? Ma partiamo dall’inizio: che cosa è la stanza dello psicologo? È senz’altro quella che chiamiamo per convezione studio. Si sente dire «è lo studio della dottoressa, dell’associazione» e via dicendo… ma andiamo più nel profondo… lo studio è un termine sterile che richiama per lo più allo studio medico, quindi si porta dietro tante accezioni specifiche: ci si reca in uno studio perché si è malati… ci si deve curare… e sapete bene che la prima cosa comune è pensare alla “pazzia” come malattia. Ancora all’alba del 2018 molti non vanno dallo psicologo perché lo psicologo cura i malati di mente. Non pensiate che non sia vero: questa credenza è ancora diffusa.

Ma torniamo a noi. La stanza dello psicologo è quindi lo studio in cui svolge la sua professione ma soprattutto il luogo, la casa dove abitano emozioni, pensieri e desideri del paziente e del terapeuta. Se pensate alla stanza dello psicologo come luogo emotivo cambia decisamente la prospettiva e vengono in mente termini che la caratterizzano: ascolto, cura, attenzione, accoglienza, ospitalità, punta di piedi. Ci piace molto soffermarci sull’espressione “In punta di piedi”, perché è proprio così che avviene l’incontro tra paziente e psicologo. Il paziente entra in punta di piedi con tutte le sue paure, aspettative (non abbandona mica le sue difese) e d’altro canto lo psicologo entra in punta di piedi nella storia di vita di colui che ha di fronte. L’ospite (il paziente) viene accolto e rispettato per quello che è e per quello che porta in questo spazio.

Passiamo ora a capire cosa succede nella stanza.. ma che cosa mai faranno questi due, paziente e psicologo? La risposta più ovvia è parlare ma la prima obiezione è: «posso parlare con chiunque… un amico, un conoscente… allora perché devo pagare?» Nella stanza dello psicologo quello che si fa più comunemente è utilizzare il colloquio clinico che non vuol dire semplicemente riversare i propri stati d’animo. Lo psicologo utilizza la sua conoscenza professione per aiutare il suo paziente: ecco perché esiste un onorario da pagare al termine di ogni seduta. C’è ancora qualcuno che si chiede come mai si paga lo psicologo… forse perde di vista che non si tratta di un colloquio con un amico. Si tratta di un intervento specifico, di un percorso terapeutico. La domanda sorge spontanea: perché si paga la terapia farmacologica e non si dovrebbe pagare quella psicologica?

Quello che si fa dallo psicologo nella sua stanza per un adulto non è altro che fare qualcosa per il proprio benessere: entrare, fare la seduta di 45 – 50 minuti (piangere, ridere, parlare, sognare) ed uscire da quella stanza con la consapevolezza di un luogo con dei confini. I confini deontologici tutelano i vissuti emotivi del paziente.

Allora non resta che augurare buona seduta a chi si accinge al primo appuntamento.

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