Pessima traduzione del titolo di un bel film sulla fine di una storia d’amore.
Perché le storie d’amore possono finire. Lo sappiamo, lo abbiamo vissuto spesso in adolescenza direttamente o consolando gli amici, lo abbiamo visto nei film, talvolta perfino nella storia dei nostri genitori. Questo non ci aiuta, ogni volta che una storia importante finisce sembra sempre la prima volta… o l’ultima, come se non ci fosse più speranza o futuro. E i consigli buoni e giusti dati agli amici nelle stesse situazioni sembrano tanto frasi fatte e vuote. Che ne sanno gli altri di come ci sentiamo? Consola il fatto che ci si è lasciati di comune accordo o che, al contrario, non si litigherà più? È peggio essere lasciati? Perché, chi lascia per forza lo fa a cuor leggero?
La fine di una storia, che sia stata breve o lunga, che ci colga come un fulmine a ciel sereno o venga dopo accese discussioni, è una frattura nella propria vita che lascia svuotati e confusi. E non si tratta solo di fantasie, c’è proprio un cambiamento nell’organismo, il corpo infatti ne risente e ha un crollo di quelle sostanze, come le endorfine, che vengono rilasciate in grande quantità durante l’innamoramento. L’irritabilità, l’ansia, il senso di frustrazione e di apatia sono anche una questione biochimica! Per non parlare dei cambiamenti intorno: una parte della propria identità si definisce e cresce in coppia, quando ci si lascia, è difficile affrontare una nuova immagine di sé, un nuovo status, nella cerchia di parenti e amici. E bisogna anche decidere che fare con i parenti e amici dell’altro, magari c’era un legame anche con loro. Ci sentiamo tristi, arrabbiati, gelosi e spaventati dalla necessità di trovare un nuovo equilibrio da soli, dover ricominciare daccapo, dare spiegazioni agli altri. La nostra mente si affolla di pensieri cupi, tipo “Avrà un altro/a” oppure “C’è qualcosa che non va in me” perché cerchiamo una spiegazione a tanto dolore. Vogliamo sapere e così cerchiamo di capire in quale griglia definita dagli psicologi rientriamo: la nostra coppia aveva una “collusione narcisistica” oppure una “collusione di tipo orale”? Le classificazioni a poco servono e sono troppo generali per considerare l’irripetibilità di una storia qualunque, ciò nonostante possono dare qualche spunto utile, al di là dei termini tecnici poco comprensibili. Perché la separazione necessita di una riflessione sul nostro modo di stare insieme e di stare da soli. Senza colpevolizzazioni o idealizzazioni inutili e fuorvianti, è bene decidere quale sarà il ricordo di quello che si è vissuto. Che tipo di amore abbiamo cercato o dato, non in generale, ma proprio in questa occasione qui? Forse crediamo che l’amore sia essere una cosa sola, dimenticando che è insieme condivisione e rispetto delle differenze, oppure pensiamo che l’amore sia protezione e non conosciamo il piacere non solo di dare ma anche di ricevere. Forse siamo possessivi o competitivi o non sempre i nostri comportamenti riescono a esprimere i nostri sentimenti, forse pensavamo di conoscere il/la partner troppo bene dimenticando quanto è bello sorprendersi. Forse semplicemente capita: le persone cambiano e purtroppo non sempre in sintonia, secondo tempi simili. L’idea che l’amore vinca su tutto è molto romantica, ma poco reale quando si devono prendere delle decisioni importanti sul proprio futuro. Il nostro amor proprio lo nega ma forse stavamo tenendo in vita qualcosa che non lo meritava più. Che fare adesso? È doveroso concedersi il giusto periodo di elaborazione del lutto, sapendo che è proporzionale all’intensità e alla durata della relazione. Il tempo è la migliore medicina (e se non lo fosse, si può sempre chiedere l’aiuto di un esperto). Bisogna non negare i propri sentimenti di dolore ma anche sbarrare la strada ai sensi di colpa. Non ne servono altri. C’è l’esigenza di capire per conoscersi e imparare dall’esperienza, non si sarà lucidi all’inizio ma con il tempo andrà meglio. Certo, non c’è spazio per crogiolarsi in una sofferenza infinita, rimanere imbrigliati nel passato o cercare di rimediarvi. Evitiamo di prolungare l’agonia. Vivere il presente, quindi, cercando al suo interno le risorse per ripartire. La riacquisita single-tudine non è una condanna senza appello ma una fase da cui ricavare nuovi spazi e stimoli per sé.